Pinzolo: Omaggio a Bepi Moro

di G. Ciaghi

Chi non conosce Bepi Moro in Val Rendena? E’ un mito! 85 anni sulle spalle. Che non sente. Tanto è pieno di vita, sempre presente e partecipe alle iniziative della comunità, da quelle sportive (non è mai mancato ad una partita di calcio del Pinzolo, da sostenitore e da tifoso, da quando nel primo dopoguerra venne costituita la società; ha collaborato si può dire a tutte le manifestazioni organizzate a Pinzolo: dalla celebre 24 ore di fondo alla mostra delle vacche dell’estate scorsa, ovunque fossero state richieste la sua capacità, la sua esperienza e la sua professionalità). Lui è un creativo. Più che un artigiano un artista. Capace di inventarsi sempre qualcosa, di risolvere tanti problemi nei momenti e nelle circostanze più astruse ed impensate. Con un martello e un pezzo di filo di ferro! Sempre disponibile a dare una mano a chi si fosse trovato in difficoltà, a qualsiasi ora: dagli automobilisti, con le macchine da riparare, ai gestori dei rifugi alpini con problemi per far funzionare i generatori dell’energia elettrica in quota. Soprattuto è un “uomo”, pieno di buon senso e di calore nei confronti del prossimo, una persona buona, capace di scherzare e magari di provocare sorridendo. Ma sempre nel rispetto dei limiti, quasi timoroso di essere andato oltre, una persona di rara intelligenza…Cosa di cui purtroppo oggi nemmeno ci si accorge. Una persona che, andata in pensione, si è rinnovata, trovando nuovi stimoli per “incantare”. E’ ringiovanito, ricreandosi e sviluppando le sue conoscenze e le sue doti. Da artigiano si è ritrovato artista. Si è dedicato al modellismo – realizzando macchine di ogni tipo e di tutti i tempi (camion, auto, aerei, moto, cicli) rifacendosi ad immagini d’epoca – e alla scultura: crocefissi e articoli di design che conserva nella sua cantina laboratorio. Meccanico di professione, ha allevato una schiera di meccanici: quasi tutti quelli che hanno aperto officine in proprio nell’alta Val Rendena (dai Maganzini ai Maturi ai Cereghini….), spesso consigliati da lui. Un generoso, a cui i suoi “allievi”, pur in concorrenza, si rivolgevano senza problemi per un suggerimento quando si trovavano in difficoltà, sicuri di venir consigliati nel modo giusto. Se c’è un soggetto che avrebbe meritato di venir nominato “cavaliere” del lavoro, sicuramente lui sarebbe stato il più adatto: un vero “maestro”. Purtroppo è sempre stato ignorato. Delle persone semplici, capaci, il mondo sembra non accorgersi. I fatti hanno sempre contato poco; l’immagine, gli incantatori di serpenti, i mediocri capaci di approfittare delle situazioni, molto di più.
Giuseppe (Bepi) Moro nasce a San Polo di Piave, un’operosa borgata della campagna trevigiana sulla sinistra del fiume, il 19 marzo 1923, un tempo festa di precetto dedicata a San Giuseppe, da cui gli venne il nome. Terra di contadini e di artigiani, gli uni dediti alla coltivazione di tabacco e cereali, oltre che ai prodotti necessari al vivere quotidiano, gli altri impegnati nelle botteghe tipiche dei paesi, nell’officina del fabbro o nel laboratorio del falegname, in fornaci e cave di ghiaia a preparare materiali da costruzione, in cantieri adatti alla lavorazione del giunco, tipica del posto. Un discreto numero di operai è impegnato nell’industria dell’abbigliamento, alcuni vanno a lavorare in una vetreria. Questi erano i fortunati; i rimanenti costretti ad emigrare.
Maggiore di tre fratelli e di tre sorelle Bepi frequenta le scuole elementari fino alla quinta e a undici anni va a bottega come apprendista fabbro. Vi rimane per tre anni. (La legge allora consentiva un tale lavoro giovanile, purché i genitori se ne fossero assunti la responsabilità). A 14 anni fa il libretto di lavoro e si trasferisce alla ditta dei fratelli Darin di S. Polo, una piccola industria con 16, 17 dipendenti che si occupa di attrezzi agricoli (atomizzatori, botti, ecc.), della riparazione e della manutenzione di trattori, altre macchine, motori. Vi resta fino a 17 anni.
Nel 1941 emigra in Germania e trova lavoro a Berlino presso la Henkel, una fabbrica di aerei (quadrimotori Stukas), dove sono impiegati ben 25.000 operai di 17 nazioni. Frequenta il corso di apprendista aggiustatore meccanico della durata di un mese, ma dopo 15 giorni i suoi insegnanti lo considerano già un esperto e lo mandano in reparto. Inizialmente viene messo ad occuparsi delle ali degli aerei; dopo 4 mesi, unico italiano su 470 viene “promosso” al montaggio (specializzazione altamente qualificata e ben retribuita).
Nel 1942 effettua a Berlino con una Commissione italiana la visita di leva. Per il servizio militare viene mandato tre mesi a Cividale, quindi in Croazia. Dopo un anno viene fatto prigioniero e spedito per altri due anni a Lǖben (100 km da Berlino) addetto alla costruzione di capriate in legno per baracche.
Nel 1945 torna a S. Polo. Il padre, prigioniero in Africa, tornerà solo nel 1947, e provvede ai suoi cinque fratelli più piccoli. Nel 1945 si impiega come autista e riparatore meccanico presso una ditta di trasporti. Nel frattempo fa domanda per emigrare in Australia. Si reca a Trento per fare il “capolavoro”, un pezzo da modellare e costruire come aggiustatore meccanico, e per le visite mediche. Su quasi diecimila esaminati vengono scelti solo 7 sopecializzati, fra i quali anche lui.
Nel 1950 viene a Pinzolo a trovare un amico, che trasportava legname con un Tre assi dalla Val Genova (vedere modello!), per salutarlo prima di partire per l’Australia. E’ il 13 agosto. Vanno a far benzina da Alessio Frizzi e Giuseppe Moro viene presentato a questo meccanico. Riceve l’offerta di qualche giorno di lavoro nell’officina. Per non restare inattivo accetta e si mette al lavoro il giorno della Madonna (15 agosto). Perfeziona le pratiche per emigrare nonostante il Frizzi cerchi di dissuaderlo, quindi saluta tutti e torna a S. Polo. I genitori e gli amici lo convincono a restare. Così decide di tornare a Pinzolo. Nel 1953 si sposa a S. Polo e l’anno dopo nasce Gianni, seguito da altre due figlie. Lavora alle dipendenze del Frizzi fino al 1957, anno in cui si associa al carrozziere Fantato, allora alle dipendenze della SISM.
Nel 1958 viene costruita un’officina su un’area acquistata dai soci Bonapace, Moro e Fantato. Bonapace però rileva la struttura e Moro-Fantato tornano in affitto da Alessio Frizzi (officina-carrozzeria).
Il figlio si associa e sposta l’officina in via Bolognini dove si trova tuttora. Gianni muore in seguito a tragico incidente stradale, e Giuseppe Moro che lo aveva bene avviato e sperava in un po’ di riposo, si rimette sotto per aiutare nuora e nipoti nell’officina che fu di suo figlio.
Personaggio estroverso, di una carica umana, disponibilità e generosità straordinarie, si è sempre adoperato a favore della comunità di Pinzolo. Per la Sportiva di calcio portava i giocatori in trasferta, dalla Società bocciofila riceve il “Premio simpatia”. E’ socio benemerito dei “Visi pallidi”; ha prestato la sua opera in tutte le edizione della “24h” come volontario, responsabile dei gruppi elettrogeni, e ne ha garantito sempre la funzionalità anche in gravi situazioni di emergenza. Ad aggiustare motori, gruppi elettrogeni od altro veniva sempre chiamato sui rifugi alpini, data la sua eccezionale abilità nell’arrangiarsi con tutto, nel creare dal nulla un pezzo che a volte non si ritrovava più in commercio.
Come accennato sopra lo caratterizza l’entusiasmo per ogni iniziativa, si tratti di partecipare ad una gara di carte o di bocce, o ad una cena, o di offrire il suo aiuto a qualcuno, senza mai far pesare niente. Da buon veneto, aperto ed immediato, si lasciava andare anche a qualche imprecazione. E’ rimasto celebre il suo “..io can!. Cosa falo po’ monsignor in quela busa?!” Un prelato romagnolo, che costumava trascorre le vacanze a Pinzolo con la sorella, aveva portato la sua Mercedes per dei controlli nell’officina del Bepi. Entrato in officina non si era accorto della buca sopra la quale i meccanici sistemavano le auto da riparare, e vi era finito dentro. Mani nei capelli, temendo una disgrazia più grave di quanto in effetti fosse accaduto il buon Bepi, era esploso con queste parole. Che a distanza di tanti anni ci ha ricordato così : “Quanta paura! A l’era più d’en quintal e vinti. Per fortuna nol s’era fato tanto! Qualcosa ale gambe. ‘l ghe n’ha avudo per un mese e mèzo, ma l’ha mes via tuto e no la fato problemi. Per fortuna!”
In questi ultimi anni nella sua cantina trasformata in laboratorio, per passare il tempo s’è messo a riprodurre le automobili, gli autocarri e le moto che aveva riparato in tanti anni di attività, copiandole a volte dalle foto: dall’autobotte dei pompieri di Pinzolo targata VF 196 all’autocarro Fiat 525, al camion con cui i Luchini trasportavano il legname da Val Genova (targa 415), dalla Moto Guzzi Superalce Sidecar al Galletto per il rifugio Brentei, al Motocarro Guzzi 500 Ercole, per non parlare del motore Diesel Fiat e della Detroit 1909…per finire con gli aerei di Baracca, degli Stukas e con una serie di Crocefissi, particolari per intensità espressiva. Passare da lui, nella sua cantina laboratorio di via Bolognini, sentirlo parlare di tante cose con entusiasmo e col suo ottimismo, vederlo al lavoro, ricrea lo spirito e crea fiducia nel futuro. Ne vale la pena.

Bepi al lavoro

Ancora Bepi con un modellino di camion

Modellini di aerei, sidecar e Crocefissi