Biogas, i rischi degli impianti

di Pinamonti Virgilio

L’altra settimana l’Adige, ha dato due notizie sulle pagine della vai di Non: la prima, alla Mendola è stato presentato un progetto per un impianto di biogas con l’impiego dei liquami provenienti dalle più grandi stalle dell’alta valle. La seconda: un progetto già avviato e seguito dai tecnici dell’Istituto di S. Michele, per il compostaggio di letame, sempre proveniente da stalle dell’Alta Anaunia, con lo scopo di mettere a disposizione dei frutticoitori della valle un concime organico di alta qualità.

Il progetto biogas, credo sia poco diverso da quelli che in questi mesi hanno tenuto banco con diverso risultato: Fiavé, bocciato dopo una dura presa di posizione di una larga fetta di popolazione locale, Villa Agnedo, dove pare abbiano deciso invece per la realizzazione.

Questi impianti, alimentati con i liquami prodotti dal bestiame allevato soprattutto nelle stalle… dove l’alimentazione per grande parte proviene da fuori dell’azienda,produrranno metano che una volta bruciato, darà elettricità e calore. Ogni kW prodotto avrà un incentivo statale, ora di circa 0,20 euro. Il liquame, posto in apposito impianto, sarà fermentato in assenza di ossigeno (fermentazione anaerobica) e il digestato (residuo della fermentazione) dopo qualche trattamento per togliere soprattutto il cattivo odore, sarà distribuito sui campi.

Tutto bene quindi, energia elettrica e calore da fonti rinnovabili, senza la produzione della micidiale C02, responsabile dell’effetto serra che altera il clima.

In Germania gli impianti di biogas sono più di 7.000. Molti quelli in singole aziende zootecniche, dove negli anni passati era più conveniente impiegare il mais prodotto direttamente negli impianti di biogas che alimentare le vacche e produrre latte. Dopo anni d’impiego però incominciano anche i problemi. Non è un caso se il professor Boehnel, direttore per dieci anni di un Istituto dell’Università di Goettinghen, ha lanciato l’allarme: l’insorgenza di casi di botulismo (1.000 in Germania, ma Boehnel ne stima 3.000) molti quelli in prossimità degli impianti di biogas. In un recente convegno in Italia, ha affermato che se non si riesce ad assicurare che dai digestori non fuoriescano clostridi botulinici si dovrebbe abbandonare la tecnologia del biogas. In Germania, a più riprese, il biogas è stato indicato, finora senza prove certe, come la causa di infezioni botuliniche mortali nel bestiame domestico, negli ungulati selvatici ma anche nell’uomo.

Recentemente è emerso che alcuni batteri utilizzati durante il processo di fermentazione sarebbero termoresistenti, in particolare i Clostridi, (batteri anaerobici che comprendono diverse specie patogene per l’uomo e gli animali) che appartengono alla stessa famiglia di batteri che provocano il tetano e il botulismo. La maggior parte dei tecnici e microbiologi che seguono gli impianti di biogas, sostengono che i clostridi sono comunque presenti nel terreno e che il trattamento anaerobico abbatte gran parte dei patogeni. Ma in Europa si sta imponendo la pastorizzazione dei digestati e in Svezia s’impedisce di utilizzarli sui pascoli, per timore della diffusione di clostridi che possono causare una grave malattia nei ruminanti.

Da noi, il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha tenuto lontani gli impianti di biogas dal suo territorio per paura di microbi che possano provocare gravi difetti nel formaggio.

Altro problema creato in Italia dal biogas è l’alterazione del mercato fondiario. Nel cremonese e pavese, ma è successo anche in altre zone, prima dell’avvento del biogas gli allevatori affittavano il proprio terreno a circa un terzo di quanto realizza chi lo affitta a produttori di derrate vegetali da utilizzare nelle centrali a biogas. Questo con gravi ripercussioni per chi continua a fare allevamento tradizionale. I sindacati agricoli, ad eccezione della Confagricoltori, notoriamente a fianco della grande industria, si sono dichiarati contro i grandi impianti a biogas che assieme ai liquami usano direttamente le produzioni vegetali ottenute da terreni sfruttati all’inverosimile, con largo uso di concimi e pesticidi non regolamentati perché produzioni non commestibili.

Spero che l’impianto progettato per l’alta Val di Non e quello di Villa Agnedo usino solo liquami, senza la combinazione con vegetali, anche se l’impianto produrrà meno, perché i liquami, rispetto alle biomasse sono più poveri di carbonio.

Lo scorso anno ad Assisi, in un apposito convegno dal titolo «Etica, salute e ambiente», si è affrontato il problema delle biomasse e biogas. Alla base dell’opposizione dei comitati e coordinamenti contrari a questo tipo di sfruttamento, non c’è solo la protesta

motivata dai disagi (odori molesti,traffico ecc.) ma considerazioni che riguardano più ampie realtà territoriali, che possono compromettere altre attività, come il turismo, ma anche alterare un sistema persino di dimensioni globali. Basti pensare all’uso dei vegetali per produrre energia, con esempi deleteri per i poveri del mondo, dove il cibo subisce una concorrenza nuova.

Abbiamo l’esempio del mais statunitense, usato per produrre bioetanolo, che ha provocato un aumento del prezzo della farina, tipico alimento dei poveri messicani con conseguenti rivolte popolari.

Per quanto riguarda la salute, questi impianti, come abbiamo visto, possono essere non privi di complicanze, mentre gli aspetti ambientali sono tutt’altro che sempre positivi. Senza dare troppa importanza al via vai di mezzi che trasportano dalle stalle i liquami e poi quelli che faranno ritorno sui campi con il digestato, a mio parere, l’aspetto più grave è quello rappresentato dalla mancata restituzione della sostanza organica ai terreni coltivati. Il digestato non potrà mai sostituire un buon letame compostato. Il concime che si ottiene dal residuo degli impianti di biogas sarà sempre di scarso valore e poco adatto ai processi di umificazione. La vera e duratura fertilità della terra è rappresentata dal suo contenuto in humus. Le grandi molecole dei molti componenti dell’humus sono principalmente formate da atomi di carbonio. Un buon concime organico ha un rapporto azoto/carbonio superiore a 1:10, meglio se 20. Proprio quel carbonio che con il processo dei biodigestori si trasforma in metano, che poi si brucia.

In fin dei conti è bruciare sostanza organica che mancherà ai suoli. Le produzioni agricole e forestali nel lungo periodo saranno sempre più influenzate negativamente dalla degradazione del suolo. Per nostra fortuna non abbiamo il degrado presente in molti terreni super sfruttati dall’agricoltura industriale della pianura, ma anche da noi incominciamo ad avvertire le prime avvisaglie con morie nei frutteti sempre più frequenti, prati con flora infestante, campi che sempre meno trattengono l’acqua, dipendenza dai concimi chimici.

Una volta tolta buona parte del carbonio, nel digestato resta l’azoto con i suoi composti che, distribuito sui terreni in questa forma squilibrata e mineralizzata, può diventare addirittura dannoso e inquinante a seguito del dilavamento. La trasformazione della sostanza organica in humus conferisce al terreno molte delle sue caratteristiche positive. È pertanto auspicabile piuttosto che si sviluppi maggiormente il secondo progetto riportato dal giornale. Le indicazioni della Comunità Europea e della Provincia tendono a favorire allevamenti di medie dimensioni compatibili con un buon mantenimento del territorio, mentre purtroppo il biogas potrebbe essere un incentivo per allevamenti sempre più industriali e slegati dal territorio. Di un buon concime organico, prodotto in zona e senza essere trasportato da lontano, l’agricoltura della Val di Non ha grande bisogno e ancora di più ne avrà negli anni a venire. Il suolo coltivato rappresenta una risorsa fondamentale ma anche fragile ed esauribile più di quanto si pensi. Una risorsa da preservare anche per le generazioni future e che vale molto di più che una presunta indipendenza energetica, reclamizzata dalla grande industria del profitto immediato e con sicuri vantaggi per chi vende la tecnologia e gli impianti.

di Pinamonti Virgilio -11/09/2013 – L’Adige –

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