Io sto con Daniele

di Michele Cereghini

Basta leggere i titoli di apertura dei due quotidiani locali per capire che il polverone sollevato dall’aggressione dell’orsa Daniza non si è ancora posato. Anzi!

E-mail di protesta che giungono nei Comuni del Parco e in Provincia, tam-tam su chi sta a favore e chi contro hanno invaso i social network, l’hashtag #iostocondaniza fa proseliti a migliaia su Twitter e sembra che sia addirittura prevista per il prossimo sabato una manifestazione a Pinzolo in difesa del plantigrado.

Io non ho il minimo dubbio quando affermo che sto con Daniele Maturi, persona che da sempre conosco e stimo, che mai si sognerebbe di mentire per attirare su di sé l’attenzione dei media o di adottare i comportamenti che certi frequentatori del web gli affibbiano con incredibile leggerezza.

L’aggressione di Daniza a Daniele Maturi va inquadrata nella normale difesa che ogni animale, uomo compreso, pone in atto quando sente – a ragione o a torto – una minaccia incombere sulla sua prole.

Voglio sgomberare il campo dai possibili malintesi: per il solo fatto di aver difeso i propri cuccioli, Daniza non va condannata a morte. Il problema da risolvere non è Daniza ma il progetto "Life Ursus" nella sua totalità.

L’episodio accaduto la scorsa settimana ha dimostrato infatti quanto la presenza dell’orso in un ambiente antropizzato possa risultare molto pericolosa. Checché ne dicano gli animalisti, solo il caso fortuito e la prestanza fisica del Maturi hanno consentito che la cosa si risolvesse con “soli” quaranta punti di sutura e qualche capo di abbigliamento da buttare.

E tutto alla faccia di quanti fino a ieri dicevano che l’orso non è pericoloso e che sarebbe meraviglioso poterlo incontrare nei boschi!

Ammesso e non concesso che l’orso non sia, di per sé, un animale pericoloso, chi ci può assicurare che episodi simili a quello accaduto a Ferragosto non si possano ripetere? Qualcuno può forse garantire che il prossimo incontro non si concluderà con esiti ben peggiori e che non ci scappi addirittura il morto?

La reintroduzione dell’orso, pensata a tavolino da qualche burocrate europeo e approvata in pompa magna con tanta leggerezza da politici e amministratori trentini e romani che sicuramente nell’occasione non hanno brillato per il loro acume, è stata letteralmente calata sulla testa delle popolazioni del Trentino occidentale. Con la naturale conseguenza che se da un punto di vista strettamente turistico l’orso si è dimostrato un ottimo veicolo pubblicitario, la sua presenza in loco ha avuto pesanti ripercussioni sulla vita delle nostre popolazioni. Sono migliaia(sicuramente ben di più dei tantissimi animalisti che al sicuro nelle proprie case lontane dalla Val Rendena e nell’assoluta certezza di non avere mai incontri ravvicinati con il plantigrado trovano molto facile dire "Mi Piace" o #iostocondaniza) i valligiani e i turisti che hanno radicalmente cambiato le loro abitudini da quando l’incontro con un orso non è poi una eventualità così recondita: c’è gente che non va più nel bosco e che, se lo fa, è costantemente sul chi vive.

Una cosa è certa e incontestabile: fino alla reintroduzione dell’orso l’uomo non aveva alcun predatore naturale e poteva muoversi nei boschi che circondano i paesi in assoluta libertà. Ora non è più così.

Chi può decidere di far vivere nella paura le popolazioni del Trentino Occidentale? Chi può arrogarsi il diritto di estrometterci dal meraviglioso ambiente che ci circonda? Penso che nessuno, né a Bruxelles, né a Roma né tanto meno a Trento abbia questo potere.

Sicuramente anche coloro che hanno preso la decisione di reintrodurre l’orso nelle nostre zone si saranno resi conto (o almeno lo spero) che, seppur remota, c’è sempre la possibilità che un incontro fortuito si possa trasformare in tragedia.

A chi andrà addebitata la responsabilità? Sicuramente non a chi va per funghi o a chi passeggia nel bosco come sembra adombrare qualcuno sui social network!

Non vorrei essere tra le persone che hanno preso la decisione di dare il via al progetto "Life Ursus" perché mi sentirei responsabile in prima persona per quanto accaduto a Daniele Maturi. E, altrettanto, non vorrei essere nei panni di coloro che ora debbono prendere decisioni ancora più scomode, sotto la pressione di un’opinione pubblica letteralmente spaccata tra quelli che vogliono tutelata la loro sicurezza e gli animalisti che difendono a oltranza l’orso.

A quanti hanno la responsabilità di decidere dico comunque di non farsi impressionare dai numeri dei social network che, seppur notevoli, non rappresentano di certo la volontà di coloro che devono convivere con l’orso anche al di fuori di queste fasi fortemente emotive. Andrebbe svolto, in tempi brevi e limitatamente alle sole popolazioni veramente coinvolte (con ogni probabilità, a chi abita a Fiera di Primiero o a Strigno poco interessa che in Val Rendena ci sia l’orso) un referendum per chiedere, seppur in ritardo di più di tre lustri, se sono o meno d’accordo sulla presenza dell’orso.

Qualora l’esito della consultazione fosse negativo, dovrà giocoforza seguire una fase di cattura (non di abbattimento) di tutti gli orsi e il loro conseguente rilascio nei territori dove sono stati prelevati.

Visto che la fiscalità generale ha già pagato svariati milioni di euro per la realizzazione del progetto "Life Ursus", i costi relativi alle operazioni di cattura e di trasporto in Slovenia dovrebbero essere posti a carico di quanti hanno contribuito a vario titolo a creare il problema decurtandoli dalle pazzesche buonuscite e dai lauti vitalizi che cotanto lungimiranti politici si sono concessi. La novità di far pagare i danni a chi li ha causati potrebbe, costituire il vero fiore all’occhiello per il nostro Trentino Autonomo, non il progetto "Life Ursus".

Michele Cereghini