Riflessioni sulla Comunità di Valle

di Luigi Olivieri

Meritoriamente il sito Campanedipinzolo.it ha aperto un dibattito sulle elezioni del 24 ottobre 2010 della Comunità di Valle delle Giudicarie. Colgo l’occasione per esprimere anche la mia opinione al riguardo. Premetto che ho letto gli interventi pubblicati e, a me sembra, che tutti sfuggano alla domanda che ritengo centrale che è: l’attuale stato della democrazia in Trentino per ciò che concerne la sussidiarietà, l’efficacia e l’efficienza della gestione amministrativa (gestione del potere vicino ai cittadini) è soddisfacente? Ancora, l’organizzazione amministrativa del Trentino è conforme ad un mondo che si globalizza?

E’ opinione largamente condivisa che i Comuni del Trentino siano Comuni di serie B rispetto a quelli delle Regioni a Statuto Ordinario della nostra Repubblica. Infatti già con provvedimento legislativo (D.P.R 616 del 1976) lo Stato decentrava funzioni importanti ai Comuni Italiani rendendoli protagonisti reali dello sviluppo del territorio che governavano. In Provincia di Trento ciò non è avvenuto. La Provincia ora è dotata di quasi tutte le competenze legislative fondamentali per la vita dei trentini e discrete risorse finanziarie per rispondere ai deficit strutturali che attanagliavano la nostra terra (non da ultimo il fenomeno migratori). So quello che dico perché come parlamentare nonché componente della Commissione Paritetica dei 12 (organo che elabora le norme di attuazione) ho, assieme ad altri, contribuito a definire la fase del completamento del percorso autonomistico (ben 32 norme di attuazione dello statuto di autonomie furono approvate dal 1996 al 2001). Tutto ciò ha comportato, e non poteva essere altrimenti, che ora la Provincia faccia tutto, finanzi quello che ritiene di finanziare ed i Comuni siano sostanzialmente dei terminali della volontà provinciale (anche la famosa pianificazione urbanistica è concertata con la provincia!). E’ situazione di tutti i giorni che i nostri Sindaci vadano con il capello in mano dall’assessore di turno ad elemosinare un certo finanziamento o la modifica di un’opera pubblica o l’accoglimento di una variante urbanistica; è facilmente verificabile che la stragrande parte dei Comuni Trentini (oggi 217) vivono di finanza derivata dalla Provincia ed abbiano bilanci nei quali le risorse proprie non permetterebbero neppure il sostegno delle spese correnti!

Questa è la inconfutabile realtà. Innanzi ha ciò le strade da imboccare per “smagrire” la Provincia e rendere protagonisti del proprio futuro i territori erano realisticamente due:


  1. ridurre il numero dei Comuni, la cui maggioranza non supera i 500 abitanti, percorrendo la strada dell’Alto Adige che ha la metà dei Comuni Trentini, ripetendo quanto effettuato dal regime fascista (nell’alta val Rendena vi era un solo Comune!). Infatti il trasferimento di funzioni amministrative a Comuni con dimensioni così ridotte avrebbe comportato il collasso dei medesimi con sicuri disservizi e non economicità della gestione delle funzioni medesime.

  2. trasferire le funzioni amministrative, con le relative risorse finanziarie, ai Comuni con l’obbligo dell’esercizio associato o mediante unione di comuni, o consorzi oppure costituendo (nel nostro caso trasformando essendoci già il Comprensorio) un ente terzo che abbia una forte rappresentatività democratica mediante elezione a suffragio universale dei propri organi e del suo presidente per far si che la Comunità si riconosca in esso. Tale ente è si terzo rispetto ai Comuni ma è al servizio dei medesimi. Lo Stato, con la recente manovra finanziaria, ha scelto la strada dell’esercizio obbligato di quasi tutte le funzioni amministrative in capo ai Comuni con lo strumento del Consorzio o Unione di Comuni con numero di abitanti ed ambiti non inferiori a 5.000 abitanti.

Ritengo che la strada imboccata dalla provincia di Trento con la riforma istituzionale sia la più corretta; da un lato rispetta i Comuni come fulcro basilare di democrazia e di appartenenza non solo ad un territorio ma ad una storia secolare, soprattutto in territori di montagna ove talvolta rimane l’unico presidio istituzionale e dall’altro permette una effettiva rappresentanza democratica della Comunità per la gestione di funzioni basilare e fondamentali per il suo futuro (si pensi alla programmazione socio-economica e alla pianificazione urbanistica).

So qual è l’obiezione che viene formulata in merito alla composizione dell’assemblea della Comunità: non funzionerà perché troppo grande (99 consiglieri!) ed ha composizione mista (3/5 letti direttamente dal popolo ed i residuali 2/5 nominati dai 39 Comuni). Non nascondo che la questione sia ben posta e non ho timore di dire che è anche, a mio avviso, fondata.

Pero’ il legislatore provinciale non aveva alternative. Perché? Per il semplice motivo che gli enti locali previsti dalla nostra Carta Costituzionale sono i Comuni, le Provincie e le Regioni e l’elezione diretta di tutta l’assemblea compreso il presidente avrebbe fatto configurare quell’ente come nuovo ente locale rispetto al quale la Provincia non ha competenze legislative per la sua istituzione. Il compromesso, per non incorrere in una sicura censura di incostituzionalità, era la composizione mista demandando alla riforma dello Statuto di Autonomia l’ottenimento dallo Stato della prerogativa legislativa in merito. Conseguentemente si potrà (per chi scrive si dovrà) procedere anche ad un forte snellimento del numero dei consiglieri (per gestire 500.000 trentini vi è un Consiglio Provinciale con 35 componenti mentre per gestire una Comunità di 35.000 persone vi è una assemblea di 99 componenti!).

La strada imboccata è quella giusta. Come tutte le leggi anche questa dovrà essere modificata per garantire la funzionalità della Comunità perché, in ultima analisi, quello che interessa ai nostri concittadini è avere servizi efficienti ed a basso costo.

A chi scrive, come penso a tutti i Giudicariesi, interessa che le delicate e strategiche funzioni già trasferite alla Comunità e quelle che si potranno ottenere in futuro trovino una classe politica ed amministrativa capace di fare meglio della Provincia. Vi sarà bisogno di Partiti consapevoli della delicatezza della situazione e della necessità di una continua ricerca di codecisioni con i Comuni che avranno nella Conferenza dei Sindaci il luogo deputato per la concertazione e la condivisione delle scelte Comunitarie.

Il momento politico che viviamo ed il passato, anche recente, puo’ indurre a dire che i Partiti non si interessino della Comunità essendo questione eminentemente territoriale.

Rispetto a questo “luogo comune” è ora e tempo di dire che le forze politiche (i partiti) sono gli strumenti previsti dalla Costituzione per interpretare la volontà popolare, il territorio, coglierne le necessità e, con la politica, fare sintesi trasformando quelle esigenze, quelle necessità in provvedenti legislativi od amministrativi. In questi anni altri hanno supplito a questo vuoto di rappresentanza con le conseguenze che sono innanzi a noi.

Si potrà discutere se l’ambito delle Giudicarie sia ottimale (per la maggioranza dei Rendeneri è così dato che il referendum che poteva istituire la Comunità della Rendena non ha visto la partecipazione sufficiente della popolazione per la sua istituzione). Su questa questione il tempo sarà giustiziere e dirà chi aveva ragione.

Se Comunità è gruppo sociale che costituisce una unità organica in base ad origini comuni; se Comunità significa pluralità di persone unite in relazioni e vincoli comuni; se comunità non è solo realtà territoriale ma anche antropologica; se la Comunità è tutto cio’ la strada da percorrere per le Giudicarie è molta ed in salita alla luce della diversità dei quattro ambiti che la compongono.

Spetta a noi provare a costruire quello che ora è solo sulla carta. Spetta a noi dare la nostra disponibilità per intraprendere questo percorso difficile e tortuoso pero’ entusiasmante . Spetta a noi tentare di vincere questa scommessa ed operare con fiducia per provare a realizzarla.

Luigi Olivieri