Tragica scomparsa di Fabrizio Collini

di L'Adige

Le battaglie più difficili, quella giudiziaria e quella per la sua salute, sembravano ormai alle spalle. Ma la forza che lo aveva sostenuto in questi due anni è venuta improvvisamente meno: l’imprenditore di Pinzolo, Fabrizio Collini, 58 anni, coinvolto nel settembre 2008 nella maxi inchiesta «Giano Bifronte» sugli appalti truccati, si è tolto la vita in Liguria. Il dramma si è consumato ieri pomeriggio verso le 15 sull’A26, vicino al passo del Turchino, in provincia di Genova: l’ingegnere si è gettato dal viadotto. Dopo avere parcheggiato presso un’area di servizio la sua Audi A4, lasciandola aperta, l’imprenditore si è incamminato sul viadotto Gorsexo, il più alto dell’A26, 100 metri affacciati su un fiumiciattolo tra gli alberi, sulle alture di Genova Voltri. Da qui, una volta superata la rete di protezione, si è gettato di sotto. Avvertiti dagli automobilisti, sul posto si sono recati il 118 e i vigili del fuoco che nulla hanno potuto fare: ai soccorritori non è rimasto nulla da fare, se non recuperare il cadavere. I rilievi sono stati affidati agli agenti della polizia stradale di Ovada. Il corpo, dopo il nulla osta del magistrato di turno, è stato inviato all’istituto di medicina legale dell’ospedale San Martino di Genova. Le ragioni di quel gesto disperato, che ha destato dolore e incredulità in quanti lo conoscevano, sono affidate ad alcune lettere lasciate nella sua automobile: due missive indirizzate alla moglie Olivia, con la quale viveva a Milano e all’anziana madre Agnese, che abita a Pinzolo. Una terza lettera è invece destinata ai suoi legali di fiducia, gli avvocati Marco Stefenelli e Monica Baggia. Fabrizio Collini aveva dunque pianificato di porre fine alla sua esistenza. Solo pochi mesi fa – era aprile – l’imprenditore aveva chiuso la sua vicenda giudiziaria patteggiando 2 anni e 3 mesi per corruzione e turbativa d’asta. Una pena che si sommava a quella di 1 anno e 2 mesi per i reati a sfondo sessuale emersi a margine dell’inchiesta sugli appalti truccati. «La mia battaglia ora è contro il cancro», aveva spiegato nel marzo 2009, attraverso i suoi legali, sottolineando come la scelta di scendere a patti con la procura fosse di natura tecnica, legata alle sue condizioni di salute e non presupponesse alcuna ammissione di responsabilità. La pena totale era dunque arrivata a 3 anni e 5 mesi, ma 1 e 2 mesi di carcere erano già scontati. L’imprenditore, infatti, era rimasto in cella fino alla fine del dicembre 2008, quando ottenne gli arresti domiciliari durati fino al novembre 2009. E fu proprio in occasione di una visita effettuata in quel periodo che gli venne scoperto il cancro, una malattia che oggi sembrava comunque debellata. Già nei mesi precedenti all’udienza dello scorso 15 aprile, per scongiurare il rischio che per l’imprenditore potessero riaprirsi le porte del carcere, la difesa aveva fatto istanza di affidamento in prova. Questo significa che l’imprenditore poteva avere la possibilità di scontare la pena impegnandosi in qualche attività sociale. L’udienza per l’affidamento in prova era fissata a gennaio, ma il percorso era ormai definito: l’imprenditore aveva già scelto l’associazione nella quale impegnarsi. Già da tempo aveva iniziato a frequentare la comunità Exodus di don Mazzi, un impegno – come conferma l’avvocato Monica Baggia – che aveva affrontato di buon grado. Insomma, tutti i tasselli sembravano al loro posto e oggi l’avvocato Baggia lo avrebbe sentito nuovamente per definire gli ultimi dettagli in vista dell’udienza di gennaio. Una sfida, arrivata alla vigilia dei sessant’anni. Ma questa nuova vita, lontana dalla gloria e dai successi vissuti negli anni Novanta, quando era il re degli appalti trentini, non era forse più quella che Collini desiderava.



dal quotidiano "L’Adige" >>>