“Trato marzo”

di Caola Maurizio Stamp

Trato marzo



L’amore svelato, le beffe degli amici, lo sbocciare della primavera

“Trato marzo su questa terra…”, con queste parole in dialetto trentìn inizia la cantilena fulcro di un antichissimo rito che fa parte della tradizione pinzulèra. Quest’usanza si ricollega alle feste celebrate nell’antica Roma alle calende di marzo, mese che apriva l’anno romano, in onore della dea Giunone, risvegliando la primavera, la fecondità  e la stagione degli amori.

In Trentino questo rituale, per le sue caratteristiche sarcastiche, trasgressive e irriverenti è stato fortemente perseguitato, denunciato e proibito dalle autorità del governo principesco – vescovile di Trento nel XVII secolo e ancora dalla rappresentanza asburgica sul territorio nel 1846.

Anticamente le prime tre sere di marzo o le ultime due di febbraio e la prima di marzo i ragazzi del paese si riunivano sulle alture sovrastanti il paese, nel nostro caso sul “dos di Carpela” alle Masere, e con megafoni di legno o grandi imbuti declamavano le famose strofette satiriche.

“Trato marzo su questa terra,

per maritare una giovine bèla!”

“Chi éla o chi nu éla?”

“L’é la …! Ca l’é la pü bela.”

“A chi l’ente mai da dare?”

“Al … , ca l’é da maritare!”

“Tötala, tötala tötala!”

Le prime due serate erano dedicate a coppie buffe, inventate, addirittura paradossali: una bella ragazza veniva “accoppiata” a un vecchio, mentre un’anziana signora era invitata a sposare un giovane scapolo; nubili e celibi di tutte le età erano chiamati a “maritarsi”.

La terza sera venivano svelate le coppie reali: i giovani (e non solo) fidanzati prossimi al matrimonio, come un’ufficializzazione nei confronti della comunità del loro legame d’amore.

Oggi le tre serate si sono ridotte ad un’unica, celebrata il primo sabato di marzo. Gli imbuti e i megafoni sono stati sostituiti con moderni, ma meno affascinanti, impianti di amplificazione; questo, però, rende udibile la “voce che nessuno perdona” anche dai paesi confinanti.

Con l’unificazione delle serate, anche le coppie stravaganti e quelle reali sono state mescolate in un unico calderone; quindi si possono trovare fra gli accoppiamenti scherzosi, magari ripetuti già da qualche anno, alcuni veri…

La festa si sviluppa attorno ad un enorme falò che rischiara e riscalda l’ancor gelida serata alpina e, a chi sale sull’altura, vengono serviti polenta, salsiccia (quest’anno la strinadina) e un ottimo vin brulé.

Anche se negli ultimi anni questa usanza è meno radicata nella comunità, alcuni giovani, con l’aiuto dei vigili del fuoco volontari, si adoperano per portare avanti una delle poche tradizioni che ancora ci sono rimaste.