Un ricordo di Bruno Detassis

di Luigi Olivieri

ASSEMBLEA NAZIONALE DEI DELEGATI DELLE SEZIONI ITALIANE DEL CAI

 in occasione dell’80° anniversario di fondazione
della Sezione del CAI di Mantova

Mantova, 17 e 18 maggio 2008



Ringrazio di cuore il Presidente del Club Alpino Italiano Annibale Salsa per avermi dato l’opportunità di ricordare – in una sede così autorevole come l’Assemblea Nazionale dei delegati delle sezioni italiane del CAI che si tiene qui a Mantova in un’occasione significativa come l’80o anniversario di fondazione della sezione cittadina – la straordinaria figura di Bruno Detassis, unanimemente definito il Re del Brenta, scomparso lo scorso 8 maggio all’età di 98 anni nella sua Madonna di Campiglio, dove aveva scelto di risiedere da moltissimi anni.

La grande eco e l’unanime cordoglio che hanno accompagnato la sua morte, anche al di fuori dei confini nazionali, sono la migliore testimonianza del fatto che Bruno Detassis non è stato solo il Re o il Custode del Brenta – secondo il titolo di una sua bella biografia pubblicata nel 1995 –, non è stato solo il Signore delle Dolomiti o delle montagne trentine, ma un autentico gigante dell’alpinismo mondiale, e uno dei più grandi di sempre.

Non è un caso che il Club Alpino Italiano abbia voluto nominarlo suo socio onorario nel 1994, in occasione di un’analoga assemblea dei soci tenuta a Viareggio, affidandone il consueto “encomio” al suo quasi coetaneo Riccardo Cassin, rimasto ormai l’ultimo illustre rappresentante di una generazione gloriosa che ha rivoluzionato, negli anni Trenta, la tecnica e la storia dell’alpinismo.

Pur avendo compiuto ascensioni su tutte le Alpi e avendo effettuato anche delle spedizioni fuori dall’Europa, Detassis, come tanti altri grandi dell’alpinismo, ha cominciato a scalare le montagne di casa propria – quelle vicine alla sua cittadina natale, Trento – e su quelle montagne ha compiuto le sue imprese più memorabili. È noto che a soli 15 anni salì sul Campanile Basso, una delle cime simbolo delle Dolomiti, e che poi, nel giro di pochi anni, in quello stesso Gruppo del Brenta aprì una serie impressionante di vie e di itinerari nuovi: ben 55, a dar credito al volume Dolomiti di Brenta di Gino Buscaini ed Ettore Castiglioni, uscito in seconda edizione nel 1977, nella celeberrima collana “Guida dei Monti d’Italia” del Club Alpino Italiano e del Touring Club Italiano.

In quello scritto ormai classico che è Cento anni di alpinismo italiano di Massimo Mila – che, come tutti sanno, non era solo un grande uomo di cultura, ma soprattutto un amante e un cultore della montagna, era anche accademico del CAI – si legge: a Bruno Detassis «si deve […] la “via delle guide” per antonomasia, cioè l’affascinante via sulla parete nord-est del Crozzon di Brenta, 800 metri di sesto grado inferiore […]. La salita fu compiuta con E[nrico] Giordani, nel luglio 1935. Impossibile seguire tutti gli itinerari nuovi di cui Detassis ha segnato gli Sfulmini del suo gruppo di Brenta, ma ricordiamo almeno i quasi 1000 metri di quinto grado superiore con passaggi di sesto grado della parete sud al Croz dell’Altissimo, superata con Giordani il 30 luglio 1936, e i 300 metri con tratti di sesto grado sul pilastro di destra della parete est di Cima Tosa, vinto insieme a Giorgio Graffer il 13 agosto 1937. E già, sulla parete nord-est, con Castiglioni, nel 1933, aveva tracciato una via diretta, 800 metri di quarto e quinto grado». Naturalmente la citazione continua con l’elenco di altre grandi imprese di Detassis che, a detta di Mila, non è possibile non ricordare!

A proposito della «fraterna collaborazione» che Detassis instaurò con Graffer, con Castiglioni, con Giordani o con altri ancora aprendo nuove vie, Massimo Mila sostiene che quelle imprese rappresentarono l’avveramento della profezia avanzata da Giuseppe Lampugnani nel 1913, proprio in occasione del cinquantenario del CAI: che il tempo avrebbe cancellato non solo il ricordo delle polemiche sulle ascensioni con o senza guide, ma anche la stessa distinzione artificiosa tra le due categorie di “guida” e “alpinista”, e che nel futuro il terreno della sfida sarebbe stato costituito solo dalle difficoltà della montagna da un lato e dall’abilità dell’uomo dall’altro.

In quanto ad abilità, Bruno Detassis è stato davvero senza pari e ha incarnato in sé le due anime dell’uomo di montagna: quella dell’alpinista, che divenne a soli 12 anni quando cominciò ad arrampicare, e quella di guida, che divenne a 25 anni. Da alcuni viene considerato addirittura il più forte arrampicatore libero del periodo compreso tra le due guerre; quel che è certo è che fu un vero e proprio artista dell’arrampicata libera, autore di capolavori assoluti senza fare mai ricorso alle staffe e utilizzando i chiodi piantati solo in casi di estrema necessità.

D’altronde, il rispetto per la montagna fu davvero uno degli imperativi categorici di Detassis, insieme al senso del limite. Il motto che scelse per sé fu Rupes manu cordeque domo, come a dire che si sale sulle cime con l’aiuto delle mani, ma con l’anima rivolta verso casa. Come abbiamo ricordato di recente sulla rivista dell’ente di ricerca che ho l’onore di presiedere come Commissario Straordinario – l’EIM, l’Ente Italiano della Montagna, che è nato in queste settimane, per volontà del legislatore, assumendo l’eredità dell’IMONT, l’Istituto Nazionale della Montagna – Bruno Detassis amava ripetere: «In montagna la vera vittoria è tornare» e «io dove potevo arrampicavo e dove non potevo mi fermavo… Lasciavo il posto agli altri».

Detassis amava le montagne, ma non amava gli esibizionismi e i pericoli inutili. Così come detestava le luci della ribalta: refrattario a complimenti, premi, onorificenze e medaglie, ricevette tuttavia diversi riconoscimenti; mi piace ricordare, in particolare, il Premio Internazionale della Solidarietà Alpina, che Detassis ricevette nel 1982.

La solidarietà è, infatti, un’altra delle parole chiave della sua personalità: solidarietà che Bruno Detassis praticò ampiamente nei confronti dei compagni di prigionia quando finì deportato in Germania nel 1943, e di cui dette sempre prova anche da gestore del rifugio Maria e Alberto ai Brentei (attività che svolse a partire dal 1949 e che fu poi condotta dal figlio Claudio), applicandosi con dedizione al soccorso alpino, di cui fu uno degli antesignani. Spiegava che ai suoi tempi, nonostante la mancanza dei telefonini e delle tecnologie moderne, la sicurezza funzionava, perché «era una rete, molto bene organizzata. Di persone, di luoghi e di azioni. Ognuno era pronto a correre e a fare la sua parte ogni volta che si verificava un incidente. Qualsiasi cosa stavi facendo, mollavi tutto e andavi ad aiutare chi ne aveva bisogno». Lo spirito di solidarietà, così come l’amore per la montagna, era stato trasmesso al giovane Bruno e ai suoi fratelli, soprattutto Catullo, che lo accompagnò in diverse imprese, dal padre Toni Detassis, una delle figure di spicco del socialismo e del sindacalismo trentino, amico di Cesare Battisti. 

Un’ultima annotazione: oltre a essere sestogradista, guida alpina, soccorritore, gestore di rifugio,  maestro di sci e d’alpinismo, Bruno Detassis riversò la sua incomparabile passione per le montagne anche nel lavoro di ricerca, come ha ricordato nei giorni scorsi il Presidente della SAT, la Società degli Alpinisti Tridentini, Franco Giacomoni. Fu, infatti, tra i principali collaboratori degli autori e della Commissione per la “Guida dei Monti d’Italia” del CAI e del Touring Club Italiano, a partire dall’insuperato volume prima citato Dolomiti di Brenta di Gino Buscaini ed Ettore Castiglioni.

Con le sue oltre cento ascensioni al Campanile Basso e le oltre duecento vie nuove aperte nelle Dolomiti, Bruno Detassis ha fornito degli esempi insuperabili a tutti gli amanti della montagna, esercitando un magistero incomparabile di tecnica e di vita. Da persona umile e schiva – come è per lo più la gente di montagna – più che nella qualifica di maestro, si riconosceva forse più facilmente in quella di operaio. Operaio come il padre e come fu lui stesso in gioventù, in fonderia. Operaio nel senso di creatore e artefice del proprio destino. Operaio come testimone attivo dei più alti ideali della solidarietà, della fratellanza e della pace.

Sono questi gli uomini veri della montagna italiana; sono questi i veri esempi di cui il nostro Paese  ha più che mai bisogno.

Luigi Olivieri – Commissario Straordinario dell’Ente Italiano della Montagna (EIM)

Un quadro di Trenti