Storie di Migranti – Intervista al Nonno Filippo Maturi – 2^ Parte

Cosa hai provato quando sei sceso dall’aereo? – SECONDA PARTE

Sono arrivato all’aeroporto Internazionale di New York e quando sono sceso ho visto un mondo nuovo: era tutto così diverso dall’Italia.
Cercavo con lo sguardo i particolari dei racconti ascoltati dai “Merican”a Pinzolo.
L’emozione era veramente tanta.
Vennero a prendermi i miei cugini e mi ospitarono per qualche giorno a casa loro.
Ero sommerso da informazioni di tutti i generi e soprattutto ero contento di essere lì.

Dove vivevi, dove lavoravi e chi frequentavi durante i primi mesi in America?

Dopo qualche giorno mi accompagnarono con la macchina in un paesino a circa 800 Km da New York verso il confine con il Canada nella zona dei Grandi Laghi.
A Fulton c’era la fabbrica di coltelli che mi aveva assunto come operaio specializzato.
Ero riuscito ad avere il permesso di lavoro perché mio nonno Filippo era fabbro, ed anch’io, assieme a mio padre, avevo lavorato per qualche tempo nella sua officina.
Durante quei primi mesi vivevo in un piccolo appartamentino con due camere e un cucinino, che dividevo con un ragazzo siciliano che lavorava assieme a me.
Anche lui era appena arrivato dall’Italia, ricordo che condividevamo tutto:l’affitto, il freddo, la fatica e le poche cose che avevamo da mangiare, ma soprattutto i sogni, le speranze e le ambizioni.
I pochi soldi che guadagnavamo bastavano appena per il vitto, l’alloggio e per mandare qualcosa a casa alle nostre famiglie.
A volte eravamo preoccupati di non riuscire a pagare il debito che avevamo fatto per andare in America e di non riuscire a realizzare i nostri sogni e progetti, ma le difficoltà e lo sconforto non ci facevano perdere le speranze ed eravamo comunque sempre ottimisti.


La prima “Busta paga”


La prima rimessa ai familiari (money transfer)

Come facevi a comunicare con la tua famiglia?

In quegli anni mio fratello Giacomo era in Germania e mio fratello Gualtiero lo avrebbe raggiunto poco dopo.
Le mie sorelle erano già sposate e vivevano a Pinzolo come il resto della mia famiglia, mia nonna materna e mio padre.
Comunicavamo tramite lettere che venivano spedite per posta aerea e per questo motivo si usava una carta molto leggera: era quasi trasparente da tanto era sottile.
Ci raccontavamo tante cose per tenerci aggiornati sulle cose più importanti che ci succedevano e che riguardavano Pinzolo o i paesi che ci ospitavano.
Erano lettere piene di confidenze, progetti e sogni e quando le leggevo o le scrivevo la nostalgia mi prendeva il cuore.

Perché hai deciso di trasferirti a New York?

Quando mi sono reso conto che il lavoro in fabbrica non mi avrebbe consentito di onorare i miei debiti decisi di andare a New York dove viveva la famiglia di mio zio.
Mio zio e i miei cugini erano immigrati già da diversi anni e facevano gli arrotini.
Inizia a fare il “moleta” sostituendo i parenti e i compaesani quando tornavano in Italia per le vacanze, per affari o a “cercar moglie”.
Col tempo riuscii a guadagnare il necessario per mantenermi, mandare a casa qualche cosa, pagare i debiti e finalmente risparmiare anche qualche soldo.
Non appena ebbi abbastanza soldi mi misi in proprio e comperai il mio “giro”.
Finalmente avevo una piazza dove potevo lavorare per conto mio: un’area di Brooklyn, dove potevo vendere i miei servizi di arrotino.
Avevo clienti di tutte le nazionalità, fra i quali, ebrei, tedeschi, messicani, italiani (siciliani, calabresi, toscani,…).
Erano proprietari o gestori di macellerie, supermercati, tavole calde e ristoranti.
All’inizio facevo l’ambulante, avevo un furgoncino con la mola e la pulitrice e passavo una volta alla settimana ad arrotare coltelli e altri utensili direttamente sul posto.
Col tempo affittai un locale che divenne il mio laboratorio e oltre ad arrotare i coltelli di proprietà dei clienti effettuavo un servizio di noleggio.
Dopo qualche anno riuscii anche ad ingrandire la mia piazza acquistando un secondo “giro”.


Contratto d’acquisto della prima automobile

Dove vivevi, dove lavoravi e chi frequentavi durante i primi mesi in America?

Dopo qualche giorno mi accompagnarono con la macchina in un paesino a circa 800 Km da New York verso il confine con il Canada nella zona dei Grandi Laghi.
A Fulton c’era la fabbrica di coltelli che mi aveva assunto come operaio specializzato.
Ero riuscito ad avere il permesso di lavoro perché mio nonno Filippo era fabbro, ed anch’io, assieme a mio padre, avevo lavorato per qualche tempo nella sua officina.
Durante quei primi mesi vivevo in un piccolo appartamentino con due camere e un cucinino, che dividevo con un ragazzo siciliano che lavorava assieme a me.
Anche lui era appena arrivato dall’Italia, ricordo che condividevamo tutto:l’affitto, il freddo, la fatica e le poche cose che avevamo da mangiare, ma soprattutto i sogni, le speranze e le ambizioni.
I pochi soldi che guadagnavamo bastavano appena per il vitto, l’alloggio e per mandare qualcosa a casa alle nostre famiglie.
A volte eravamo preoccupati di non riuscire a pagare il debito che avevamo fatto per andare in America e di non riuscire a realizzare i nostri sogni e progetti, ma le difficoltà e lo sconforto non ci facevano perdere le speranze ed eravamo comunque sempre ottimisti.

Cosa ti ha colpito di più di quella grande città?

New York era una città affascinante, rimasi colpito da tante cose, come ad esempio i suoi maestosi grattaceli, i lunghissimi ponti, gli enormi supermercati, le case ed i palazzi, le strade, il traffico caotico, i suoi ritmi frenetici, la sua energia e vitalità.
E poi gli abitanti provenienti da tanti luoghi diversi, con culture diverse ma uniti da un’unica spinta:
il desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita, e di rivalersi su un destino che appariva privo di prospettive.


Stradario di Brooklyn – Tessera sanitaria


Il nonno nei giorni di festa

Come hai fatto a diventare cittadino americano?

In quegli anni le leggi americane concedevano la cittadinanza agli stranieri che possedevano determinati requisiti, fra i quali, cinque anni di residenza per motivi di lavoro, la conoscenza della lingua inglese, la propria autonomia economica.


Documento di naturalizzazione

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