IL CARNEVALE FATALE E LE STALLE – C’ERA UNA VOLTA…. LE FOLE DI NONNA VITTORINA

di Vittorina Maturi

IL CARNEVALE FATALE E LE STALLE – C’ERA UNA VOLTA…. LE FOLE DI NONNA VITTORINA

IL CARNEVALE FATALE E LE STALLE

La stalla era il salotto delle nostre nonne, dopo la cena si riunivano con il loro lavoro e la lanterna, era buio. Le donne filavano la lana delle loro pecore con il fuso e la mulinella, era un’arte, un piacere guardarle riempire i fusi con il filo fine di lana che usciva dalle loro abili mani. Accanto avevano il cestino con la lana cardata preparata sempre da loro con le “scartage” e “li cuduli”. C’era chi lavorava ai ferri, facendo calze, calzettoni con le scapinelle perchè fosse facile poterle rifare quando si sarebbero rotte. Il lavoro più impegnativo era fare le maglie sia intime che esterne per tutta la famiglia, era quasi una gara di sveltezza e precisione, facevano dei capolavori copiandoli dalle riviste di moda maglia. C’era chi ricamava facendo corredi per spose, lenzuola, tovaglie, coperte di pizzo all’uncinetto, era un orgoglio per le signorine mostrare la loro bravura e raffinatezza col punto ombra o col tombolo. Lavoravano fino a tarda notte raccontando le novità del giorno e magari criticando. Prima di iniziare a lavorare in certe stalle si pregava, si recitava il rosario, le cento requie e le litanie dei santi. Tanta gente si riuniva per scaldarsi, era molto umido per il fiato delle bestie e per le loro “scoregge”: era anche malsano. In questi convivi c’erano anche uomini e bambini. Un “lusso” poteva scapparci una castagnata, noci o nocciolie trovate nei boschi. Qualche signora portava del tè, altrimenti si usciva dalla stalla e nella strada si prendeva della buona neve fresca e pulita senza inquinamenti. Qualcuno si addormentava su una panca o magari nella finiera sul morbido fieno, che era pronto per la mattinata seguente per darlo alle bestie. Alla fine delle serate bisognava spazzare e mettere in ordine il pavimento che era di legno e facile riassettare. A tenere il controllo di tutto questo viavai di gente c’era sant’Antonio in un quadro, il patrono delle bestie, era incorniciato da roselline di carta crespa colorata fatte dalle donne che erano laboriose e disponibili. Il 17 gennaio in onore di sant’Antonio la stalla era riservata per i ragazzi che giravano con il presepio, cantando la vita del santo. Era un evento anche per i bambini che alla fine con il cappello in mano raccoglievano un obolo ringraziando. Era un evento molto sentito e apprezzato, le nostre feste invernali.

A Carnevale, una sera accadde un fatto terribile e angoscioso. Erano entrate delle maschere che si sedettero sulle panche, scherzarono con delle barzellette facendo ridere tutti, uscendo lasciariono una maschera seduta accanto a una donna ben appoggiata e visto che non si muoveva, la toccarono accorgendosi che era morto. Una grande disgrazia e dolore, era il figlio della signora accanto. Questo fu un Carnevale memorabile ma disperato.
Le nonne ci raccontavano tante storie alcune senza significato o morale. La stalla era una seconda scuola di educazione. Gli uomini alle 5 cominciavano la giornata e aiutati dalle donne dovevano mettere il fieno nelle mangiatoie delle mucche e dei vitelli che erano tanti. In uno scomparto c’erano le pecore e le capre, per loro andava bene il fieno più scarto, accanto c’era il maiale, sopra c’erano le galline e i conigli. Era uno zoo. Il coro dei muggiti e i canti del gallo erano la musica di tutti i giorni. Intanto che le mucche mangiavano e ruminavano il fieno venivano munte a mano, anche le donne facevano questo lavoro e poteva capitare qualche volta di rovesciare il secchio del latte con grande dispiacere. Le mucche bisognava accompagnarle alla fontana per abbeverarle anche se nevicava, portare via il letame con la barella, fare il letto con foglia nuova e ogni tanto spazzolarle con la “sdogla”. Un gran lavoro, ma per le ore 8 la stalla era in ordine. Alle ore 16 si ripeteva, il fieno, la mungitura, abbeverare, ma gli animali più piccoli come il maiale e le galline erano il lavoro delle donne. La storia si ripeteva tutti i giorni anche di domenica. Un lavoro duro e tante volte senza riscontro. Gli hobby degli uomini erano giocare al “trunf” carte e si facevano anche delle belle cantate. I più laboriosi facevano cesti di vimini “banoi” con rametti di “saloci” (salice). L’inverno era lungo, le sere erano tante, le persone si alternavano e si cambiavano i giochi. Nella stalla dei giovani e non, questi erano i giochi: il gioco del “zupel”, il frate ha perso le “ciavate”, indovinelli, proverbi, barzellette e “pizzico non ridere”. I primi tre giorni di marzo era uso recarsi sulle Màsere sopra Pinzolo e gridare a squarciagola questa tiritera:
“Trato marzo su questa tèra
per maritare una giovane bèla
chi ela e chi nu ela?
(nome di lei) a chi l’onte mai da dare?
(nome di lui) che l’è da maritare!
Toootala, toootala, toootala…”
Accoppiavano le persone più strane, che facevano ridere a crepapelle.
Le persone, specialmente le più giovani erano curiose di sapere come sarebbero state accoppiate. La terza serata era per le coppie vere che speravano di vedere un matrimonio.
Era usanza che il Carnevale venisse bruciato dai giovanotti. L’ultimo dì di Carnevale durante il giorno preparavano un gran mucchio di ramaglie e sterpi in un prato lontano dalle case per non creare dei disastri. Quando era notte alla sera accendevano un gran falò che veniva alimentato e controllato tutta la notte e alla fine spento con acqua. Questi erano i divertimenti dei nostri giovani, invece le ragazze erano le spettatrici e ammiratrici di questi simpatici ragazzi.

– IL GIOCO DEL ZUPEL
Tutti i partecipanti fanno quadrato seduti sulle panche e lasciando il centro libero per il penitente. Invece dei zupei che si usavano al posto delle scarpe si usava un bastoncino per picchiare il penitente che si passavano sotto le panche, finchè il penitente non fosse stato capace di rubarlo. Quello a cui veniva tolto il bastoncino doveva andare al posto del penitente. Chi era furbo e svelto prendeva meno bastonate. Tanto lavoro e tante risate.

-IL GIOCO DEL FRATE
Il frate si fa con 3 colpi di mano pari o dispari. I partecipanti sono seduti e numerati. Comincia il frate iniziando questa tiritera.
“Il frate ha perso le ciavate il numero 3 le ha trovate!”
e il numero 3 rispondeva: “Chi mi? Si ti! Mi no! Chi po? Il numero 11!”
e il numero 11 rispondeva: “chi mi? Si ti! Mi no! Chi po? Il numero 1..”

Chi non era attento a rispondere quando veniva chiamato il suo numero veniva eliminato. Si andava avanti così delle ore e questo faceva passare la serata.

-PIZZICO NON RIDERE
Seduti sempre a quadrato per guardarsi bene in faccia e non ridere, pena l’esclusione. Il capo si fa con tre colpi di mano pari o dispari. Il capo seduto in centro con in tasca del carbone, con la mano sporca, dava un pizzicotto in faccia al suo vicino e passava la posta a lui, che dava un pizzicotto all’altro compagno, e così proseguiva il giro. Si passava il pizzicotto ripetendo la frase “pizzico non ridere” e con questi pizzicotti quello che era vicino al capo diventava una bella mascherina cambiando sempre il posto del pizzicotto. Chi rideva era escluso dal gioco.

Vittorina Maturi
Vittorina Maturi

Vittorina Maturi nata a Pinzolo il 26 Maggio 1932, giorno del Corpus Domini. Pioniera del commercio di Pinzolo, infatti, aprì il suo negozio “Mamme e bimbi”, in via Marconi il 14 Aprile del 1962 che oggi viene portato avanti dalla figlia Aldina. Mamma di 5 figli, nonna di 9 nipoti e bisnonna di 9 pronipoti, alla veneranda età di 88 anni ha voluto rivivere con noi racconti che altrimenti verrebbero perduti nel tempo.