Romedio Binelli: un sindaco d’altri tempi

di Luciano Imperadori

Romedio Binelli, il maestro e il sindaco, se n’è andato quasi in punta di piedi, alla bella età di 95 anni da poco compiuti.

Non sorrideva spesso, parlava poco, ma era attento alle persone che incontrava e per tutte aveva una parola. Camminava sempre eretto, con quel portamento fiero e severo che lo caratterizzava, ma tutt’altro che superbo, anzi non amava essere in prima linea e anche nella sua vita, quando per due volte lo chiamarono alla carica di sindaco, fu sempre per puro spirito di servizio.

La prima volta subito dopo la guerra nei mesi seguenti alla Liberazione quando si trattava non solo di procurare viveri alla popolazione, in cambio di legname, ma di ricostruire le basi democratiche della comunità. La seconda negli anni cinquanta quando opporsi ai grandi interessi della SISM (Società Idroelettrica Sarca Molveno) nello sfruttamento dissennato delle acque non era certo cosa semplice, visti anche i numerosi posti di lavoro che venivano creati e l’indotto generato per l’intera comunità.

Dopo aver partecipato come sottotenente al fronte dell’Albania rientrato a Trento, a causa di un principio di congelamento, l’8 settembre 1943 fu sorpreso come ufficiale di picchetto al distretto Militare e per poco riuscì a sfuggire alla cattura e alla morte. Binelli ha lasciato scritto nelle sue memorie che, in quella tragica notte, si contarono oltre cinquanta militari uccisi dai tedeschi e migliaia i deportati. Lui, conoscendo un po’ di tedesco, superò miracolosamente alcuni posti di blocco sulla strada per Aldeno e, attraverso il lago di Cei e la val di Gresta, raggiunse Arco e poi Pinzolo.

Finita la guerra fu chiamato dal prefetto, con il gradimento del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), a ricoprire l’incarico di sindaco quando ancora il Comune era unito a Giustino, Massimeno e Carisolo e più tardi ricoprì l’incarico di presidente del Consorzio dei Comuni dell’Alta Rendena che comprendeva anche Strembo, Caderzone e Mortaso.

Attento non ai propri interessi ma a quelli della comunità tra i primi atti del sindaco Binelli si trova la ridiscussione del prezzo del legname con le ditte che al tempo del regime avevano spuntato prezzi di favore. Il bosco era l’unica ricchezza in quegli anni e l’amministrazione portava i tronchi nel mantovano in cambio di viveri che venivano ceduti per la distribuzione alla Famiglia Cooperativa.

Come dichiarò, nel 2009, in una bella intervista al giornalista Renzo Grosselli, per evitare di incentivare la speculazione edilizia, Binelli con la sua amministrazione blocco’ anche la vendita dei terreni comunali nella zona di Campiglio. Il terreno veniva ceduto solo per chi aveva bisogno di costruire e se non lo faceva, entro un tempo ragionevole, doveva tornare al Comune.

Ma forse il merito principale del sindaco Romedio, insieme al Consorzio dei Comuni, fu lo stop dato ai grandi lavori per lo sfruttamento delle acque dell’invaso destro del fiume Sarca, in particolare della zona di Cornisello. Una grande diga sopra i paesi della valle poteva essere un grave pericolo come nel Vajont.

La SISM voleva utilizzare i laghi alpini togliendo l’acqua d’inverno col sistema dello "spillamento" non tanto per produrre una quantità maggiore di elettricità, come opportunamente la regione osservò al Ministero opponendosi al progetto, quanto per trasferire la produzione dall’estate all’inverno lasciando i laghi e i fiumi a secco.

Proprio nel costruire questo sistema, che consisteva in gallerie scavate sotto i laghi per "spillare l’acqua", il 15 ottobre 1954 il lago di Serodoli sfondo’ la galleria e ben 600 mila metri cubi di acqua si riversarono nel lago di Nambino e poi calarono a valle con un fragoroso boato sull’abitato di Madonna di Campiglio.

Per fortuna non si contarono vittime perché la popolazione era stata allertata, ma sette famiglie persero la casa e lo spavento fu grande.

La popolazione si ribello’ compatta con in testa il sindaco Binelli e gli altri sindaci del Consorzio. Si scoperse persino che non tutte le autorizzazioni erano a posto e che quindi si potevano bloccare i lavori fin da subito.

Il giornalista Aldo Gorfer, in un memorabile articolo, racconto’ questi drammatici momenti parlando di "valanga liquida" e di "natura che si vendica sentendosi violentata dagli uomini".

Se la storia deve insegnare qualche cosa occorre ricordarsi di queste vicende e soprattutto rendere omaggio a quelle persone attente alla democrazia, all’autonomia e alla salvaguardia dei beni della comunità.

Luciano Imperadori