Rotazione mercantile e necessità di un nuovo patto culturale

di Mariapia Ciaghi

Regola ed eccezione sono termini che chiariscono e determinano il carattere dei rapporti e delle relazioni all’interno di un gruppo sociale in un certo periodo.

È successo spesso che le eccezioni col trascorrere del tempo siano diventate regole. Si dice pure che le eccezioni confermino le regole. O si potrebbe pensare che queste nascano da quelle. Ma non solo nel campo in cui l’invenzione ha un suo ambito, come può accadere in arte, in letteratura, in musica o in filosofia (e qui basta pensare al comparire di movimenti, stili, gusti e mode spesso in contrapposizione a quelli che li hanno preceduti); persino nel campo della teoria politica si è talora derivata la fonte primaria del diritto e della legge da situazioni anomale, eccezionali.

L’eccezionalità, che causa sempre dubbi in ogni riflessione giuridico-politica, acquisisce statuto ineludibile sul piano estetico; o in generale nell’ambito dell’invenzione.

Nella cultura, eccezionale suole essere ciò che in base alla regola comune si può classificare come prezioso.

Questo succede in ogni cultura, compresa la nostra. In questa società di massa e nella società dello spettacolo, che s’impone su di noi come destino, succede a volte, in maniera inaspettata e in continuo mutamento, che nell’angolo più impensato del nostro villaggio globale sorga improvvisamente l’eccezionale.

Il fenomeno nasce e si sviluppa al di fuori di qualsiasi sorpassata distinzione tra alta, media o bassa cultura. Esistono esercizi ultra-commerciali di straordinaria qualità, o prodotti kitsch con l’enfatica pretesa di Hochkultur. In questo mondo in continuo cambiamento, ibrido, complesso e plurale nel quale viviamo, già non hanno più vigore le categorie degli albori della nostra cultura di massa, caratteristiche degli anni Sessanta. Però oggi, come allora, si può arrivare a distinguere il vero gesto, o impulso che ci scuote, dallo stereotipo pretenzioso. Nel campo della creazione l’eccezione suole lasciarsi alle spalle la regola, che in generale è dedotta da quella come conseguenza della premessa. Perciò è inevitabile che il termine eccezione si associ, ancora una volta, a ciò che di più significativo e rilevante può essere portato a termine in ogni ambito culturale.

Tra la Scilla di un neoliberismo senza ostacoli, che non bada né all’eccezione, né alla regola, ma solo alla rotazione mercantile, e la Cariddi di un interventismo statale sempre incline ad occuparsi della propria clientela, o che usa il pretesto dell’eccezione per dare connessione al suo circolo d’amici o di clienti intimi, è necessario trovare una giusta mediazione. È tanto necessario quanto difficile.

Il neoliberismo, ingenuo o cinico, tende a far credere che il mercato di per sé basti e avanzi, cioè sia capace di regolare i valori culturali. Ma l’esperienza insegna che sono ben poche le opere e gli oggetti che soddisfano, allo stesso tempo, la domanda di questa rotazione mercantile e il minimo desiderabile in qualità e contenuto.

È del tutto eccezionale che un gran romanziere sia, allo stesso tempo, uno scrittore che riesca a far distribuire la sua opera in tutto il mondo e possegga una dote che difficilmente possa venir messa in discussione. Certamente può succedere. Però sarebbe una vera eccezione culturale. Normalmente, la regola è che molti buoni prodotti culturali (poemi, racconti, partiture musicali) passino inosservati quando compaiono, e che prodotti di scarso pregio, ma seduttori a breve termine, stravincano in questa cultura di grandi superfici e d’indici d’audience che si va imponendo come regola.

Certo, questa riflessione non può servire da alibi ad un protezionismo settario per giustificare un’altra piaga, che è quella della cultura protetta (chiaramente in riferimento alla propria clientela).

Perciò è necessario pensare a questo circolo vizioso, o a questa contraddizione che sembra non avere soluzione. L’eccezione culturale è, propriamente, ciò che non ha bisogno di protezione: quella di quegli scrittori o registi che, per uno strano miracolo, hanno potuto allo stesso tempo accontentare sia i loro mecenati imprenditori, sia il pubblico di massa, sia la critica più esigente.

Ciò che di Beethoven applaudivano i suoi contemporanei era un pezzo relativo alla vittoria di Wellington. In cambio, i suoi impressionanti quartetti finali necessitarono di un secolo per iniziare ad essere compresi. Nel mondo culturale l’eccezione e la regola hanno sempre carattere ambiguo. Non sempre il mecenate è tanto magnifico quanto lo furono i principi del Rinascimento italiano. La maggior parte delle volte, lo scrittore, il regista, l’artista deve combattere con il Cardinale Colloredo di turno (colui che, per interposta persona, espulse Wolfgang Amadeus dalla sua piccola corte principesca). E ciò che è sicuro è che ci sono molti Cardinali Colloredo nel mondo delle nostre imprese d’arte, dell’edizione, o della produzione cinematografica.

Nell’editoria, per esempio, si è imposta la regola inflazionistica secondo la quale vale la pena pubblicare tutto, giacché uno su mille volumi immessi sul mercato potrebbe essere, chissà, un best seller. Ciò significa che tutti gli altri (999) vivono sì e no alcuni mesi prima di essere ritirati dalla circolazione.

E, com’è più redditizio distruggere i volumi che immagazzinarli, terminano come oggetti da sacrificare al fuoco: una versione light di ciò che in tempi peggiori capitò all’entartenes Kunst, o arte degenerata.

S’impone una protezione del libro selezionato, della libreria di qualità, o d’opere che non possono competere con il Codice da Vinci. È necessario che iniziative che promuovono la miglior musica d’oggi ricevano appoggio istituzionale. O che non restino in un cassetto, senza essere girate, le migliori sceneggiature cinematografiche, che a volte, a dispetto delle valutazioni commerciali, possono risultare più vantaggiose dal punto di vista della logica mercantile di quello che gli impresari o i produttori pensino.

La tentazione settaria e del clientelismo sta sempre dietro all’angolo. S’impone un gran patto nella cultura tra le grandi formazioni politiche, che eviti quello spettacolo goldoniano tanto deplorevole, che si riproduce ogni volta che la ruota della fortuna modifica il palcoscenico politico, con le sue conseguenze di stanziamento e nuove nomine.

In un paese dove i politici sanno solo avvicinarsi alla cultura con criteri di rendimento strumentale è necessario creare uno stato d’opinione favorevole a questi grandi patti. In questo modo potrà generarsi un necessario contrappeso al selvaggio liberismo che alcuni intellettuali, miopi ed ingenui davanti ad un capitalismo di cui percepiscono Grandi Virtù, difendono come straordinario toccasana.

di Mariapia Ciaghi – da Cooperazione tra consumatori