Scuole alta Rendena e calo demografico

di Maurizio Freschi

Scuole alta Rendena e calo demografico

Ciclicamente si torna a parlare del problema dei gruppi classe sempre più esigui nella scuola primaria, ma la società sta vivendo un cambiamento profondo e la diminuzione costante della popolazione scolastica non è un fenomeno passeggero o trascurabile: è diventata una condizione strutturale e continuare a fingere che la rete dei plessi scolastici possa rimanere quella di un tempo significa ignorare la realtà. Da anni si richiama l’attenzione su questo tema, sapendo che la curva demografica avrebbe portato dove siamo oggi; ma ogni sollecitazione si è puntualmente scontrata con un campanilismo che, a questo punto, appare più come un freno allo sviluppo che non come una difesa dell’identità. Se da un lato è comprensibile l’attaccamento affettivo alla scuola del proprio paese, dall’altro non è giustificabile sacrificare la qualità dell’istruzione dei nostri alunni per mantenere uno schema organizzativo non più sostenibile.

Il punto non è decidere quale edificio lasciare aperto e quale no: il vero obiettivo deve essere la qualità dell’esperienza scolastica dei bambini. Classi troppo piccole non offrono la ricchezza di dinamiche che rendono viva la didattica ma, al contrario, la limitano; allo stesso tempo, la presenza di gruppi minimali forzati dalle necessità numeriche rende complessa la progettazione e frammenta gli interventi. La Provincia, negli ultimi anni, ha ridotto il numero massimo di studenti per classe con l’obiettivo di migliorare l’efficacia educativa; qui però ci troviamo nell’estremo opposto, con gruppi talmente scarsi da privare gli alunni di stimoli, confronto e possibilità di crescita piena. Una riorganizzazione intelligente delle sedi permetterebbe di ricostruire gruppi classe equilibrati, in quella “giusta misura” che consenta agli insegnanti di lavorare meglio e agli studenti di crescere in un ambiente più ricco.

C’è poi il tema dell’organico da salvaguardare, troppo spesso ignorato nel dibattito pubblico; tenere in piedi più plessi significa dover distribuire il personale su sedi diverse, disperdendo risorse e complicando ancora di più l’inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali. In una situazione demografica fragile, conservare l’organico è necessario: la riorganizzazione delle sedi permetterebbe di valorizzare davvero le risorse, di potenziare gli interventi e di offrire un rapporto educativo più solido e costante.

Il paradosso è che, per proteggere edifici, si finisce per penalizzare proprio chi li vive e andrebbe tutelato con maggior sensibilità.

In un mondo che cambia, dove le amministrazioni locali sono finalmente costrette a ragionare su come superare la frammentazione di tanti piccoli comuni anacronistici, riconoscendo che certi schemi amministrativi non sono più sostenibili, proprio sulla Scuola, ci si irrigidisce su posizioni che non trovano più alcun appiglio logico. Curioso notare come in altri ambiti la comunità dell’alta valle abbia saputo convergere su un unico punto di riferimento, ad esempio la formazione del volontariato o in alcune realtà associative locali, mentre sul piano educativo continuiamo a comportarci come se ogni paese vivesse isolato dal resto del territorio. Sono contraddizioni che rivelano chiaramente quanto pesi ancora il retaggio di un campanilismo fuori dal tempo che non riconosce le mutate esigenze.

Una riorganizzazione, inoltre, non significherebbe affatto privare di funzioni importanti la singola comunità, al contrario, si potrebbero riconvertire le strutture che si liberano per rispondere ai nuovi bisogni delle famiglie: nidi, servizi educativi e spazi polifunzionali; in questi ambiti si gioca un’importante sfida sulla natalità, migliorando l’aiuto alle famiglie e l’attrattività dei territori. Se davvero si vuole sostenere la genitorialità bisogna investire sul sostegno nella prima infanzia e nell’istruzione del primo ciclo, non nella difesa immobile di un modello organizzativo scolastico di un’altra epoca.

La verità è che queste scelte, oggetto di discussione da anni, si sarebbero dovute affrontare prima senza restare vincolati ad abitudini stantie e a una visione anacronistica del secolo scorso.

Le amministrazioni locali hanno oggi una grande responsabilità, o accettano di guardare oltre il proprio campanile e di vedere la Scuola come un bene di tutta la comunità, oppure sarà la stessa demografia a decidere al posto loro, mettendole di fronte a situazioni ben più drastiche e meno governabili.

La comunità ha bisogno di amministratori lungimiranti, capaci di andare oltre i personalismi locali e di assumersi la responsabilità di costruire un sistema educativo attuale e sostenibile, che offra reali opportunità di crescita ai bambini e sostegno alle famiglie. In questa prospettiva sarebbe auspicabile vedere amministrazioni meno inclini a muoversi in modo scoordinato, spinte da impeto di protagonismo, e più capaci di dialogare tra loro, rivolgendosi alle figure competenti (dirigente scolastico, dipartimento istruzione e assessorato) invece di bussare a ogni porta indistintamente, generando solo confusione.

Una gestione matura e condivisa è la condizione minima per affrontare con serietà le sfide che il territorio non può più rimandare.

Continuare a negare questa necessità, o sperare di delegare ad altri decisioni così delicate, non sarà utile a nessuno.

 

Maurizio Freschi*

*vicepresidente del Consiglio del Sistema Educativo Provinciale e presidente della Consulta Provinciale dei Genitori