‘beatìn’ e ‘biatìn: chiarita la questione grazie a James Caola

di Giuseppe Ciaghi

Devo alla cortesia di James Caola – che dopo la mia nota su Campane di Pinzolo circa “beatìn” e “biatìn”, si è premurato di venire a San Vigilio a discutere insieme su quel problema – la conclusione cui siamo arrivati.
Mi ha riferito che suo padre ha sempre chiamato “biatìn” lo scotùn della famiglia, ma che è anche vero che nei documenti ufficiali di comune e parrocchia, oltre che sulle lapidi, compare sempre “beatìn”.
Abbiamo convenuto che nel dialetto di Pinzolo ci sono dei suoni intermedi che qualcuno percepisce in un modo, altri in un altro. E’ il caso della “i” che a volte viene percepita come “e” (vedi biatìn/beatìn) , della “u” che spesso viene avvertita come “o” (bondùn/bondón, stampùn/stampón) e persino della “t” e della “d” (biancàrt/biancàrd).
Le forme con la “e” la “o” e la “d” appaiono scritte da impiegati, insegnanti e sacerdoti venuti da fuori, che scrivevano documenti in italiano o in latino, spesso addomesticando i termini locali, persone con una sensibilità fonetico/acustica diversa da quella della gente del posto che privilegiava la “i”, la “u” e la “t”.
Fondamentale per la comprensione di questo fenomeno è il bel libro di Ugo Bonapace “Parlàr Pinzulèr”. L’autore è un uomo provveduto di un orecchio linguistico legato al dialetto di Pinzolo e nel suo testo troviamo gli scotùn “biatìn, bondùn, stampùn e biancàrt”.

Un doveroso grazie a James Caola biatìn. Giuseppe Ciaghi