Val Rendena: ecco la storia del Chiciöl…

di CampanediPinzolo.it

Val Rendena: ecco la storia del Chiciöl…

L’imminente ricorrenza del Chiciöl, che quest’anno si festeggerà a Giustino martedì 28 ottobre e a Pinzolo venerdì 31 ottobre, ci ha suggerito di riproporre due pagine scritte da Nepomuceno Bolognini — forse il più famoso pinzolero di sempre — tratte dal libro Usi e costumi del Trentino, edito nel 1877 da Arnaldo Forni Editore.

Ma da pochi anni anche fra queste un dì floride e contente vallate, soffocate le industrie del paese dall’attuale linea daziaria, il bisogno e la fame spinge le braccia e i desii degli emigranti alle più lontane e misteriose regioni del Rio della Plata e delle Pampas d’America, specialmente fra le popolazioni rurali della Valsugana e della valle dell’Adige.

Qui in Rendena, meno rare eccezioni, la piaga non ha fatto ancor breccia, e i frugali e laboriosi segantini e arruotini tornano ogni anno ai loro casolari a riabbracciarci le madri, le spose, i figli lasciati da pochi mesi, e a portare ai fanciulli l’aspettato chicieul, i quali ringrazieranno baciandosi la propria mano, come dalle buone mamme viene loro insegnato di fare ogniqualvolta ricevono qualche regaluccio. E questo è senza dubbio il costume rimpicciolito, venutoci dai progenitori romani, che salutavano così l’imperatore quando passava loro da vicino.

Il chicieul è uno o più pani di frumento, che portano ai figli, ai fratellini, ai nipoti affinché facciano festa. E la fanno che è forse l’unica volta nell’anno che il pane bianco di frumento entra desiderato nelle loro bocche, il cibo ordinario essendo la polenta e il nero e duro pane di segala, che si prepara ogni sabato per l’intera settimana. E che sia duro lo provò bene quel povero S. Vigilio, il quale, secondo la leggenda, venne con esso lapidato.

In ogni modo la paura e la credenza che i morti, in date circostanze, escano dalle tombe per vagolare qua e là sulla terra esiste e la si crede fermamente dai fanciulli e dalle donnicciole.

Le ho fatto cenno del chicciol e vengo a narrarle questa nostra costumanza, che del resto si pratica in quasi tutti i paesi d’Italia. E’ un uso ancora vivo, vivissimo e buono, che in fin fine si riduce a un atto di carità.

Per chicciol propriamente s’intende il regalo d’uno o più pani di bianco frumento, che il capo di famiglia o i membri di essa portano ai piccoli rimasti a casa, quando tornano al domestico focolare dalla emigrazione temporanea, che i nostri montanari praticano nei mesi di inverno per – guadagnare la polenta alla famiglia – come essi dicono. E siccome il loro cibo ordinario è proprio la polenta e il nero pan di segala, così quello di frumento è già una ghiottoneria, un regalo apprezzato, che i fanciulli rimasti a casa aspettano con desiderio dal loro genitore o fratelli maggiori.

Il chicciol del dì dei morti è un panettino più piccolo, di segala, che le famiglie più agiate distribuiscono sulla soglia della propria abitazione a quanti poveri e ragazzi si presentano a reclamarlo. E lo si reclama davvero: ecco come avviene la distribuzione.

Di buon mattino, per le vie del paesello è un brulichio, un andirivieni rumoroso di ragazzini di famiglie anche non bisognose, che per essi è una festa, e di poverelli d’ambo i sessi, i quali a gruppi, a frotte, portanti ciascuno un sacchetto per riporvi i panini raccolti, s’affrettano, accorrono alle abitazioni ove sanno che si dà il chicciol e s’accalcano attorno al distributore o distributrice. Ognuno vorrebbe essere il primo ad avere la sua parte, onde poter presto accorrere ad altra soglia caritatevole pria che la folla abbia ad esaurire la provvista apparecchiata e destinata. È uno sporgere ansioso, insistente di mani rozze, callose, stecchite, e di manine care e piccine; è un vocio di note rauche e strillanti e di vocine simpatiche di fanciulli che reclamano, invocano il regalo che loro spetta.

Perché la deve sapere che accorrono a questa caccia al chicciol fratellini e sorelline aggruppati, e il più grandicello gridas all’offerente ritto vicino alla cesta ricolma dei panini: demen du che som in du, o in tri, o in quattro ecc., secondo il loro numero; e il distributore verifica e sporge il numero di chiccioli richiesti. Le dico che verifica, perché a volte il birboncello richiede un panino o due di più del dovuto, e a volte ritorna per una seconda richiesta, sperando nella confusione di passare innavvertito e accoccarla se può.

Questo però si permette di rado il fanciullo, inconscio ancora di tali malizie, ma facilmente qualche povero poltrone avvezzo alle umiliazioni e ai rifiuti.

E così la ressa continua per un paio d’ore, fino a che la distribuzione è esaurita. I ragazzi, chiassando, ritornano alle loro case col sacchetto ricolmo e colà enumerano i panini raccolti e sono felici. Non già per la ricca provvista, ma per divertimento goduto di avere scorrazzato nel paese romoreggiando e ridendo.